
Proprietà distanze legali: definizione
Proprietà distanze legali: definizione
I limiti legali sulle distanze delle costruzioni sono regolati dagli articoli 873 – 877 codice civile.
Il proprietario di un fondo, solo dopo aver ottenuto i necessari permessi dall’ufficio preposto, può costruire sul suo terreno, e questo diritto gli spetta su tutta la sua proprietà.
Spesso però capita che il fondo del proprietario confini con quello di un altro soggetto che ha, per l’appunto, analogo diritto.
Si evidenza, sul punto, la nozione di fondi “finitimi”, differente da quella di fondi meramente “vicini“: essi hanno in comune, in tutto o in parte, la linea di confine, ossia quelle che, se fatte avanzare idealmente l’una verso l’altra, vengono ad incontrarsi anche per solo un momento; ne consegue che non possono essere invocate le norme sul rispetto delle distanze ove i fondi abbiano in comune soltanto uno spigolo o i cui spigoli si fronteggino, se pur distanti.
Tale principio trova una deroga nel caso di previsioni normative antisismiche.
Infatti in tema di costruzioni in località sismiche, l’articoli 6 n. 4 della legge 25 novembre 1962 n. 1684, (secondo cui la larghezza degli intervalli di isolamento fra due edifici, misurata tra i muri frontali, non deve essere inferiore a sei metri, ove l’area frapposta sia sottratta al pubblico transito mediante chiusura) comprende tutte le ipotesi in cui i muri perimetrali di costruzioni finitime si trovino in posizione antagonistica, idonea cioè a provocare, in caso di crollo di uno degli edifici, danni a quello confinante. Pertanto, la presenza, nei detti muri perimetrali, di spigoli e angoli, non esclude l’applicazione della norma citata.
Sempre nell’ambito della normativa antisismica, è bene, inoltre, far presente che nelle zone in cui vige tale normativa a non sono applicabili le disposizioni di cui agli articoli 874, 876, 884 codice civile, secondo le quali il proprietario del fondo contiguo al muro altrui ha la facoltà, rispettivamente, di chiederne la comunione forzosa, di innestarvi il proprio muro, di costruirvi il proprio edificio in appoggio, perché è invece necessario che ogni costruzione costituisca un edificio a sè stante, mediante l’adozione di giunti o altri opportuni accorgimenti idonei a consentire la libera ed indipendente oscillazione degli stessi.
Al fine di dirimere potenziali contrasti di vicinato, il codice civile è intervenuto con una precisa normativa che, però, può essere derogata dai regolamenti locali, e più in generale dai piani regolatori (approvati). In particolare, I regolamenti edilizi possono stabilire una distanza tra edifici maggiore di quella di 3 m, ma non minore.
La giurisprudenza dell’ultimo mezzo secolo, è concorde nel ritenere che le norme sopra citate siano volte ad impedire che tra costruzioni vicine si creino intercapedini che, per la loro struttura, risultino in qualche modo pericolose: in altre parole esse sono dettate a tutela di reciproci diritti dei singoli proprietari.
Conformemente a quanto detto, l’articolo 873 trova applicazione solo nel caso in cui due fabbricati, sorgenti da fasce opposte rispetto alla linea di confine, si fronteggino prospetticamente.
Le distanze di cui all’articolo in esame, pertanto, non sono applicabili al caso di fabbricati disposti ad angolo, senza avere pareti contrapposte. Ma ciò non toglie che i regolamenti locali, nello stabilire distanze maggiori, possono anche stabilire punti di riferimento, per la misurazione delle distanze, diversi da quelli indicati dal codice civile.
I diritti incardinati dalle norme predette sono imprescrittibili: ma naturalmente l’obbligo del loro rispetto potrebbe soccombere di fronte alla costituzione di una servitù, oppure in forza di usucapione. d’altro canto, in materia di costruzioni sul confine gli articoli. 873, 874, 875 e 877 codice civile, stabiliscono di fatto che il proprietario che costruisce per primo determina in concreto, le distanze da osservare per le altre costruzioni da edificare sui fondi vicini. Principio ripreso in pieno dalla giurisprudenza secondo cui l’articolo 873 codice civile, operando con gli articoli 875 e 877 codice civile, concede al primo tra i proprietari confinanti che edifica sul proprio fondo una triplice facoltà:
- costruire sul confine;
- costruire a distanza dal confine non inferiore a quella legale;
- costruire a distanza inferiore a quella legale salvo riconoscere al proprietario contiguo che costruisca successivamente il diritto di avanzare la propria opera alle condizioni previste dall’articolo 875 codice civile nel caso in cui non voglia che analoga facoltà venga esercitata dal preveniente per la comunione forzosa del muro.
In altre parole, chi effettua l’opera per primo su di un fondo contiguo ad un altro ha questa triplice facoltà:
- costruire sul confine: di conseguenza il vicino potrà costruire in aderenza o in appoggio (pagando per tale evenienza, ai sensi dell’articolo 874, la metà del valore del muro);
- costruire con distacco dal confine: e cioè alla distanza di un metro e mezzo dallo stesso o a quella maggiore stabilita dai regolamenti locali. In tal caso il vicino si vedrà costretto a costruire alla distanza stabilita dal codice civile o dagli strumenti urbanistici locali;
- costruire con distacco dal confine ad una distanza inferiore alla metà di quella totale prescritta per le costruzioni su fondi finitimi salvo il diritto del vicino, che costruisca successivamente, di avanzare la propria fabbrica fino a quella preesistente, pagando il valore del suolo. In tal caso, il vicino potrà costruire in appoggio, domandando la comunione del muro che non si trova sul confine (ed in tale ipotesi deve pagare, ai sensi dell’articolo 875 codice civile, la metà del valore del muro) oppure in aderenza.
L’articolo 875 codice civile subordina, dunque, l’acquisto della comunione al mancato esercizio da parte del proprietario del diritto di estendere il muro sino al confine. Pertanto, il proprietario del fondo contiguo dovrà innanzitutto interpellare il proprietario del muro per sapere se intende estendere il muro al confine, procedere alla sua demolizione o arretrarlo alla distanza legale onde consentirgli di sottrarlo alla comunione. La mancata risposta dell’interpellato e, quindi, il suo cosiddetto “silenzio assenso”, equivarrà al mancato esercizio del potere di ostacolare la comunione forzosa e, una volta trascorso il termine, il proprietario iniziasse a demolire il muro, tale attività sarebbe illegittima e comunque inidonea ad impedire l’acquisto della comunione. Il cosiddeto “diritto di prevenzione”, riconosciuto a chi per primo edifica, si esaurisce con il completamento della costruzione. Inoltre, nel caso di sopraelevazione, che costituisce una nuova costruzione, ove lo strumento urbanistico locale abbia sancito l’obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine, si deve escludere il diritto a sopraelevare in allineamento con la costruzione limitrofa. Importante sottolineare come la prevenzione non opera quando gli strumenti urbanistici locali prevedono una distanza minima dal confine. La normativa di riferimento è Il decreto del Presidente della Repubblica n. 380/01, che ha ridisegnato, oltre che unificato la materia urbanistica riunendo e coordinando la preesistente normativa di settore, senza introdurre novità significative rispetto al previgente ordinamento.
L’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444/1968, tutt’ora vigente, disciplina i limiti di distanza tra i fabbricati, affermando dunque l’inderogabilità relativa distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, vincolando, pertanto i Comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l’anzidetto limite minimo è illegittima, essendo consentita alla P.A. regionale o locale solo la fissazione di distanze superiori.
La misura minima dei 3 mt, tuttavia, riassumendo, è derogabile in due ipotesi tassative, contemplate dal comma 2 dell’art. 9: è consentito edificare a distanze inferiori rispetto a quelle previste dal comma 1 soltanto A) per i piani particolareggiati e B) per le lottizzazioni convenzionate, e non anche per gli interventi edilizi diretti, consentiti dallo strumento urbanistico, interventi tra i quali ricomprendere il permesso di costruire. La deroga alle distanze minime è ammessa, quindi, soltanto per la pianificazione attuativa e non anche per i titoli abilitativi diretti tra i quali figura il permesso di costruire. Infine, l’articolo 9 del decreto ministeriale n. 1444/68 è applicabile anche agli interventi di sopraelevazione e dunque anche alle ristrutturazioni che comportino un incremento non minimo dell’altezza del fabbricato.
Altro elemento da tenere nella debita considerazione, per quanto raro, è la deroga alle predette norme mediante convenzione tra privati. In linea di massima ha stabilito la Suprema Corte che le norme sulle distanze di cui all’articolo 873 codice civile, sono derogabili mediante convenzione tra privati. Ma tale convenzione non deve incidere sui diritti o le facoltà di terzi estranei alla convenzione. Si badi bene, che le norme degli strumenti urbanistici locali che impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di questi dai confini – invece – non sono derogabili, con la conseguente invalidità delle convenzioni in contrasto con dette norme, anche tra i proprietari di fondi confinanti che le hanno pattuite.
È bene ora definire cosa si debba intendere per “costruzione”, ai fini della disciplina in parola: è un concetto che si estende a qualsiasi opera stabilmente infissa al suolo. Ai fini del rispetto delle norme in materia di distanze legali, la nozione di “costruzione” comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo. In generale, rientra nel concetto di costruzione ogni manufatto, di qualunque materiale esso sia costituito, che emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo o non sia completamente interrato, e che, pur difettando di una propria individualità, per struttura, solidità, compattezza, consistenza e sporgenza dal terreno, sia idoneo a creare quelle intercapedini dannose, in quanto impediscono il passaggio di aria e luce, che la legge, stabilendo la distanza minima fra le costruzioni, intende evitare.
Inoltre nel calcolo della distanza minima fra costruzioni deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato (ad esempio una scala esterna in muratura), qualora queste, presentando connotati di consistenza e stabilità, abbiano natura di opera edilizia. Sono invece sottratti al calcolo gli elementi che hanno funzione puramente ornamentale, le condutture elettriche ed i pali che le sostengono, i manufatti interrati, i muri di contenimento.
La Cassazione e la giurisprudenza di merito hanno qualificato come costruzione i seguenti manufatti:
- la tettoia che avanzi rispetto all’edificio già esistente; – una baracca di zinco costituita solo da pilastri sorreggenti lamiere, priva di mura perimetrali ma dotata di copertura;
- i balconi;
- una pensilina costruita su un terrazzo con materiali metallici;
- scala esterna in muratura, qualora questa, presenta connotati di consistenza e stabilità;
- un chiosco annesso all’impianto di distribuzione di carburante;
- un manufatto, con finestra, coperto da tettoia formata da travi con soprastanti lamiere, destinata a fienile, magazzino e pollaio;
- un’autorimessa ovvero tettoia a copertura di posti-auto, anche se munita di pareti laterali a graticcio;
- un barbacane, quale elemento costruttivo di completamento dell’edificio;
- traliccio metallico alto oltre trenta metri con annessa cabina, destinata alla diffusione radiomobile;
- il muro di contenimento tra due fondi posti a livelli differenti, qualora il dislivello derivi dall’opera dell’uomo o il naturale preesistente dislivello sia stato artificialmente accentuato, deve considerarsi costruzione a tutti gli effetti e soggetta, pertanto, agli obblighi delle distanze previste dall’art. 873 cod. civ. e dalle eventuali norme integrative;
- un corpo avanzato, privo di aperture, incorporato in uno degli edifici antistanti;
- la modificazione del tetto di un fabbricato che integra sopraelevazione e, come tale, una nuova costruzione soltanto se essa produce un aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti, così incidendo sulla struttura e sul modo di essere della copertura;
- la centralina telefonica installata dalla T. davanti al prospetto di alcune abitazioni rappresenta una costruzione in senso tecnico.
Non rientrano, invece, nel concetto di costruzione e non sono quindi soggette alla normativa sulle distanze:
- le condutture elettriche ed i pali che le sostengono;
- una caldaia murale;
- uno zoccolo basso in muratura con rete metallica infissa;
- i manufatti realizzati all’interno di preesistenti costruzioni eseguite in appoggio o in aderenza ad un muro comune sul confine;
- un campo da tennis ad uso privato, dato che la rete metallica che di solito circonda simili campi, non può formare un’intercapedine e come tale non rientra nella previsione dell’articolo 873;
- non sono altresì considerate costruzione il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno realizzato per evitare smottamenti o frane e, ai sensi dell’art.icolo 878, il muro di cinta con altezza non superiore ai tre metri;
- la sporgenza di un tetto piovente, di modesta entità;
- l’edificazione del parapetto che non abbia determinato alcun aumento di superficie o volume in grado di modificare la servitù di veduta preesistente.
Per quanto riguarda il rapporto delle distanze e il condominio, un ottimo spunto ci viene portato dalla Corte territoriale Partenopea con la sentenza 08 settembre 2010, n. 2972 in cui si afferma che le norme dettate in materia di distanze legali, devono intendersi applicabili anche in relazione a un edificio condominiale, pur dovendosi necessariamente distinguere tra opere eseguite sulle parti comuni, e sempre che si tratti di uso normale di queste ultime, e rapporti tra unità individuali inserite nello stabile condominiale.
Nel primo caso vige, il principio della non operatività della normativa sulle distanze legali, la quale potrà trovare applicazione solo se ed in quanto sia possibile attuare il disposto ex articolo 1102 codice civile, diversamente da quanto accade in relazione ai rapporti tra le singole proprietà esclusive dei vari condomini, laddove la disciplina richiamata, seppur in modo non assoluto, deve intendersi applicabile. In tali ipotesi, detta disciplina trova un limite di operatività allorquando la struttura dell’edificio e le caratteristiche concrete dello stato dei luoghi impediscano il suo rispetto e le opere che con essa contrastino rispondano ad una esigenza essenziale di utilizzazione dell’immobile da parte del condomino.
Ciò posto, pare necessario rilevare, altresì, che il delineato sistema circa l’osservanza delle distanze legali in ambito condominiale è destinato a valere sia nelle ipotesi in cui sia invocata la tutela petitoria sia in quelle in cui, come nella specie, sia invocata tutela possessoria, mediante l’esperimento di un’azione di manutenzione.

COME SI FA
Il proprietario ha diritto, nel caso venga realizzata una costruzione compresa fra le opere per le quali devono essere rispettati i distacchi dal confine, alla riduzione in pristino ex articolo 872 codice civile (di natura reale) ed al risarcimento del danno (di natura obbligatoria).
Unico soggetto legittimato a proporre domanda di riduzione in pristino a seguito di violazione delle distanze legali è il proprietario dell’immobile rispetto al quale la distanza della costruzione eseguita sul fondo finitimo sia inferiore a quella legale. L’articolo 872 codice civile, concede al proprietario del fondo vicino, che dalla violazione lamenti un danno, oltre all’azione risarcitoria, quella di ripristino di natura reale.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione le violazioni delle distanze legali tra costruzioni, al pari di qualsiasi atto del vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di una servitù, sono denunciabili “ex” articolo 1170 codice civile con l’azione di manutenzione nel possesso.
L’azione di natura reale, volta all’eliminazione fisica dell’abuso, deve essere proposta necessariamente nei confronti del proprietario della costruzione illegittima anche se materialmente realizzata da altri, potendo egli soltanto essere destinatario dell’ordine di demolizione che il ripristino delle distanze legali tende ad attuare. Inoltre, colui che ha subito un danno per effetto della violazione delle leggi speciali e dei regolamenti comunali in materia di edilizia ha diritto al relativo risarcimento, mentre solo la violazione delle disposizioni contenute negli articolo 873 codice civile e seguenti, in materia di distanze, ovvero delle prescrizioni dei regolamenti comunali integrative delle predette disposizioni, attribuisce al privato la facoltà di chiedere la riduzione in pristino.
Ma nel caso in cui sia stata realizzata una costruzione a distanza inferiore rispetto a quella stabilita dall’articolo 873 codice civile o da una norma regolamentare integrativa, il proprietario del fondo finitimo che abbia optato, a norma degli articoli 875 e 877, comma 2, articolo 873 codice civile, per la fabbricazione in appoggio o in aderenza alla costruzione già realizzata dal confinante, non può chiedere alcuna delle forme di tutela previste dall’articolo 872 codice civile, poiché incompatibili con la scelta effettuata non solo l’azione diretta alla riduzione in pristino ma anche quella risarcitoria.
L’azione per ottenere il rispetto delle distanze legali non si estingue per il decorso del tempo, essendo imprescrittibile, salvo gli effetti dell’eventuale usucapione, la quale dà luogo all’acquisto del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale.
Tale domanda diretta a denunziare la violazione della distanza legale da parte del proprietario del fondo vicino e ad ottenere l’arretramento della sua costruzione, è soggetta a trascrizione ai sensi sia dell’articolo 2653 n. 1 codice civile che, essendo suscettibile di interpretazione estensiva, è applicabile anche alle domande dirette all’accertamento negativo dell’esistenza di diritti reali di godimento, sia del successivo n. 5, che dichiara trascrivibili le domande che interrompono il corso dell’usucapione su beni immobili.
Da sottolineare come la domanda deve essere proposta nei confronti di tutti i comproprietari stessi, in qualità di litisconsorti necessari, che prescinde dall’individuazione dell’autore materiale dei lamentati abusi edilizi. Importante per la felice proposizione della domanda è la prospicienza del fabbricato; infatti legittimato a proporre la domanda di riduzione in pristino è soltanto il proprietario di una preesistente e fronteggiante fabbrica, rispetto alla quale la nuova costruzione venga a trovarsi a distanza inferiore a quella legale, e non anche quello di altre fabbriche non antistanti, anche se comprese nello stesso edificio o nella stessa zona, salvo restando il suo diritto al risarcimento del danno in caso di dimostrazione di un concreto pregiudizio economico per la diminuzione di aria, luce, panoramicità dell’edificio.
Per quanto riguarda, infine, gli aspetti penali delle costruzioni abusive, il proprietario confinante è legittimato a costituirsi parte civile nei procedimenti penali aventi ad oggetto abusi edilizi non soltanto quando siano violate le norme civilistiche che stabiliscono le distanze nelle costruzioni, ma anche nel caso di inosservanza delle regole da osservarsi nelle costruzioni, indipendentemente dalle distanze.
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